TERZA ETA’ E PREGIUDIZI SOCIALI
L’INVECCHIAMENTO
L’invecchiamento è un processo che inizia dal momento in cui si nasce e ha termine con la morte del soggetto e come tale va interpretato nella sua trasversalità rispetto al percorso di vita, non come la connotazione di un particolare periodo o di una specifica età della vita.
Tuttavia prevale, nel linguaggio comune, la tendenza ad associare il termine “invecchiamento” a quello di vecchiaia, di persona anziana, come a considerarlo un connotato esclusivo dell’età avanzata, quella che si colloca dopo l’età adulta e che costituisce l’ultimo periodo dell’esistenza, precedente alla morte.
Resta comunque il fatto che durante la vecchiaia l’invecchiamento assume una forma più visibile e pervasiva rispetto alle età precedenti e forse è proprio ciò che dà adito a errate associazioni.
Dal punto di vista psico-fisico si tende a considerare un declino importante quello dai 75 anni in poi, per cui si predilige suddividere la vecchiaia in due fasce d’età:
– dai 65 ai 74 anni (definita tarda adultità o prima vecchiaia, o età dei giovani anziani, o ancora terza età);
– dai 75 anni in poi (definita vecchiaia, età degli anziani anziani, dei grandi vecchi o detta anche quarta età).
A fronte del costante allungamento della vita dell’uomo sono state aggiunte altri stadi:
– dagli 85 ai 99 anni, la cosiddetta quinta età che comprende la popolazione definita anche grandi anziani, oldest old (Schotsmans, 1991).
– dai 100 anni in poi, la fascia dei centenari e ultracentenari (overcentury) che lentamente sta crescendo (Franceschi e colleghi, 2000; Perls, 2004; Terry, 2008).
La vecchiaia non è tanto e solo una questione d’età anagrafica, ma è una fase di vita che si intreccia con le età biologiche, sociali, psicologiche.
“La rappresentazione dell’età non coincide con la percezione dell’età. Al contrario, la questione dell’età si presenta come un gioco perenne tra le ‘diverse’ età che l’individuo può attribuirsi o che gli verranno attribuite” (Tramma, 1997).
La vecchiaia dunque, come ogni altra fase della vita, può essere letta dal punto di vista di più tipi di età (Laslett, 1992; Tramma, 1997; Cesa Bianchi, 1998; De Beni, 2009):
– cronologica, definita da Laslett “l’età dei compleanni”;
– biologica (o età del corpo), è collegata alle modificazioni dell’organismo a livello cellulare, biologico e di salute.
– personale, cioè le soddisfazioni personali raggiunte;
– sociale, è l’età pubblica, attribuita a una persona da familiari, amici, conoscenti, datori di lavoro, funzionari statali, ma anche, a livello collettivo, da uno specifico gruppo sociale, da una certa generazione, da una data società, quindi è attribuita dagli altri (Tramma, 1997). Si deve parlare allora di “diverse età sociali” (Laslett, 1992, p. 86). L’età sociale è sicuramente influenzata da fattori di ordine storico, sociale e culturale.
– soggettiva: riguarda l’età personale: quella che ognuno si sente di avere indipendentemente dall’età anagrafica (Laslett, 1992).
COSA SI INTENDE PER STEREOTIPO?
Per la psicologia sociale uno stereotipo corrisponde a una credenza o a un insieme di credenze in base a cui un gruppo di individui attribuisce determinate caratteristiche a un altro gruppo di persone.
Gli stereotipi
Gli stereotipi assomigliano molto dunque a degli schemi mentali e quando per valutare o prevedere il comportamento di una persona ricorriamo a degli stereotipi, questo tipo di ragionamento ricorda molto quanto detto a proposito delle euristiche: utilizzando uno stereotipo per valutare una persona noi non facciamo altro che utilizzare come scorciatoia mentale l’ipotesi che chi rientra in una determinata categoria avrà probabilmente le caratteristiche proprie di quella categoria.
Uno stereotipo è una valutazione che spesso si rivela rigida e non corretta dell’altro, in quanto attraverso gli stereotipi si tende in genere ad attribuire in maniera indistinta determinate caratteristiche a un’intera categoria di persone, trascurando cioè tutte le possibili differenze (Arcuri e Cadinu, 1998).
I pregiudizi
Similare alla connotazione più negativa di uno stereotipo, in psicologia un pregiudizio è un’opinione preconcetta concepita non per conoscenza precisa e diretta del fatto o della persona, ma sulla base di voci e opinioni comuni (Brown, 2000).
Un pensiero infatti diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze.
Stereotipi e pregiudizi su anziani
L’anziano è troppo spesso costretto ad adeguarsi a stereotipi e pregiudizi e tende ad adattarsi passivamente all’immagine che la società ha di lui.
Invecchiando si tende a incolpare l’età che passa di dimenticanze che spesso e volentieri si hanno anche in giovane età, solo che nell’ultimo caso vengono attribuite alla sbadataggine o ad una vita troppo frenetica e stressante.
In verità la capacità di memorizzare resta praticamente intatta, in condizione di buona salute ovviamente, ma si riscontra piuttosto una minor rapidità nel ricordare.
Il concetto assolutamente sbagliato che gli anziani non possono imparare ha prodotto danni inestimabili dal momento che si è così impresso nella cultura corrente, e perciò anche nello stesso anziano, da intimidire se non addirittura inibire l’apprendimento.
L’immagine sociale e i pregiudizi sull’anziano
L’immagine sociale proiettata su di loro è ancora troppo inficiata da pregiudizi e da stereotipi negativi che tardano a cadere. Infatti nel 2008 l’Organizzazione Mondiale della Sanità denunciava la presenza ancora forte nella società occidentale di atteggiamenti pregiudicanti nei confronti dell’anziano (WHO, 2008), legati ad una sua immagine sociale stereotipata (Butler 1969; Schaie 1988; Censis 2007), quella del vecchio malato, inattivo, improduttivo, isolato.
L’OMS, al contrario, sostiene un’immagine più realistica di anziano, che non solo ha diritto a condurre una vita sana, dignitosa, indipendente, socialmente e culturalmente appagante, ma anche, malgrado il naturale e graduale decadimento psico-fisico, possiede vitalità, intelligenza, creatività, capacità ed esperienza da mettere a disposizione della comunità.
Tuttavia l’OMS riconosce 12 “miti” o false credenze (WHO, 2008):
– l’anziano si deve aspettare un deterioramento mentale e fisico;
– gli anziani hanno tutti bisogni simili;
– la creatività è una caratteristica dei giovani;
– l’esperienza degli anziani ha scarsa rilevanza nella società moderna;
– molti anziani vogliono essere lasciati in pace e in tranquillità;
– l’assistenza medica e sanitaria sono il problema principale dell’invecchiamento;
– concedere risorse agli anziani significa toglierle ai giovani;
– la spesa pubblica in favore degli anziani è uno spreco di risorse;
– le persone anziane non sono adatte a frequentare i luoghi di lavoro moderni;
– gli anziani non sono in grado di apprendere nuove informazioni;
– le persone anziane si aspettano loro stesse di farsi da parte;
– i problemi in relazione agli anziani si sistemeranno da soli.
I dati statistici
Secondo i dati forniti dall’Istat relativi al 2011, il 14% degli italiani ha un’età compresa tra 0 e 14 anni, il 65,7% un’età tra 15 e 64 anni e 20,3% ha oltre 65 anni.
Questo significa che in Italia, su una popolazione di circa sessantuno milioni di persone, ci sono solo otto milioni di bambini e più di dodici milioni di persone anziane.
Dunque in Italia ci sono più anziani che bambini e i dati sono destinati a salire, poiché si stima che nel 2065 gli anziani ultrasessantacinquenni costituiranno il 33,2% della popolazione, contro il 20,3% attuale (Istat 2011).
Secondo le ultime statistiche diffuse dall’ONU nel 2009, l’Italia è al secondo posto nella classifica mondiale dei paesi con la più alta percentuale di persone anziane, intese qui con un’età superiore ai sessanta anni.
Al primo posto c’è il Giappone, con circa il 30% di anziani rispetto alla popolazione. L’Italia è al secondo posto con una percentuale del 26%, a pari merito con la Germania. La Francia ha una percentuale del 23%, l’Inghilterra del 22%, gli Stati Uniti del 21% (Istat, 2011).
In Italia, nella recente ricerca italiana del Censis, “Il tempo della Terza Età” (Censis, 2007), alla domanda se avessero subito delle forme di discriminazione il 43% degli anziani intervistati ha fornito una risposta affermativa e la percentuale più alta di coloro che si sono sentiti discriminati è risultata risiedere proprio nel nord-est dell’Italia.
All’origine della discriminazione in base all’età
Agli anziani generalmente vengono attribuite quali disposizioni psicologiche rigidità mentale, orientamento al passato e mancanza di progettualità per il futuro, chiusura al cambiamento e all’innovazione; come tratti comportamentali vengono sottolineati l’ostinazione, la suscettibilità, una scarsa adattabilità, una certa tendenza al vittimismo, all’ira e ad una eccessiva richiesta di assistenza. In definitiva agli anziani viene riconosciuta una certa incompetenza sociale e questo è l’elemento fondamentale dello stereotipo sulla vecchiaia che porta inevitabilmente alla discriminazione, cioè al comportamento guidato dal pregiudizio. Si tratta di uno stereotipo rigido, profondamente radicato nella cultura; difficilmente scalzabile nonostante i numerosi esempi di vita sotto i nostri occhi.
Stereotipi e cultura
Ad ogni modo, non tutte le società primitive trattano gli anziani negativamente.
Presso gli Yahgan, vissuti fino a due secoli fa nella Terra del Fuoco, i vecchi sono serviti per primi e nella capanna hanno il posto migliore, non li si lascia mai soli, v’è sempre uno dei loro figli che si prende cura di loro, nessuno li prende mai in giro, il loro consiglio è ascoltato, sono loro che trasmettono e fanno rispettare la legge non scritta. Danno il buon esempio, moderano, e al bisogno puniscono coloro che si comportano male (Beauvoir, 1970).
Nella nostra società, invece, consumista e materialista l’aspetto esteriore è tutto. Accade così che il corpo sembra avere una data di scadenza. Gli anziani, dunque, invece di essere valorizzati positivamente per l’esperienza e la saggezza acquisite nel corso della loro vita, vengono penalizzati per via di un corpo che non è più in perfetta forma. In questo modo, spariscono le antiche distinzioni tra mente, anima e corpo della filosofia greca e rimane soltanto quest’ultimo.
Sono lontani i tempi in cui gli anziani erano i preziosi custodi delle tradizioni popolari da tramandare ai nipoti.
Cultura e pubblicità
Stereotipi e pregiudizi nei confronti delle persone anziane sono sicuramente sostenuti dai modelli presentati dalla pubblicità. Questi modelli sono il più delle volte esempi negativi. Infatti, gli anziani sono spesso usati per vendere prodotti come dentiere e pannoloni, dimostrando di avere problemi di salute, di essere soli e in difficoltà; oppure oggetti tecnologici, ma dimostrando di essere del tutto incompetenti in materia.
Sono rari i casi in cui la persona anziana nel discorso pubblicitario viene riconosciuta positivamente per il suo ruolo economico e sociale. La pubblicità non ci mostra mai le persone anziane come centro sociale della famiglia italiana, contribuendo a formare un nuovo immaginario intorno all’anzianità, ma ce le mostra più che altro come persone sole e malate che non entrano in contatto con le persone giovani e sane.
Donne e stereotipi
I problemi sociali legati all’invecchiamento possono essere particolarmente forti per le donne. Nonostante la crescita di consapevolezza che si è avuta negli ultimi trent’anni, la nostra società fa fatica ad accettare le rughe nel volto delle donne, i capelli bianchi, i corpi che hanno perduto la tonicità e la sensualità della giovinezza.
Se in un uomo le tempie grigie e le calvizie sono considerate segni di distinzione, nelle donne i segni dell’invecchiamento non sono valutati in modo positivo.
Le fiorenti industrie della cosmesi e della chirurgia plastica fatturano miliardi di dollari l’anno, sfruttando la paura inculcata nelle donne di dimostrare la loro vera età.
STEREOTIPI PIU’ COMUNI
Capacità cognitive
Capacità motorie
Relazioni sociali
Attività sessuale
Capacità cognitive
Mentre qualche decennio fa si pensava che il cervello dell’anziano fosse caratterizzato esclusivamente da perdite irreversibili, oggi si sa che, pur avendo un lento declino, esso mantiene una certa plasticità, attivando delle nuove capacità o sviluppando ulteriormente delle facoltà già esistenti. Ciò è confermato anche dagli studi di anatomia funzionale sul cervello e da quelli psicologici sulle facoltà cognitive(De Beni, 2009).
Gli studi psicologici sulle facoltà cognitive dimostrano che vi è un decadimento di quella che viene definita da Cattel (Cattel, 1963) “intelligenza fluida” legata a fattori biologici e fisiologici, deputata a eseguire le operazioni mentali di base e connessa ad abilità quali il ragionamento, la memoria, l’orientamento spaziale, la velocità percettiva. Diminuisce sensibilmente la capacità di rispondere repentinamente a stimoli come le domande, di risolvere problemi in situazioni nuove, di mantenere l’attenzione a lungo e di effettuare rapidamente prove cognitive. Nonostante ciò alcune aree cerebrali rimangono relativamente stabili anche oltre i 70 anni adducibili alla cosiddetta “intelligenza cristallizzata” (Cattel, 1963).
Sicuramente una discreta attività cognitiva si ottiene tenendo in esercizio il cervello attraverso occasioni di apprendimento che stimolino l’intelligenza, la memoria, l’attenzione, la motivazione dell’anziano, che non richiedano un’eccessiva concentrazione e un’attenzione troppo prolungata nel tempo.
Capacità motorie
Con il passare degli anni si assiste a un processo degenerativo a carico delle cartilagini articolari (artrosi), che può causare una compromissione dell’anatomia e della funzionalità. Queste alterazioni hanno per conseguenza una riduzione della mobilità articolare e del controllo posturale che non debbono però spingere il soggetto a ridurre ulteriormente la propria attività fisica.
L’importanza di praticare attività fisica nella terza età permette di conservare una buona forma fisica ed autonomia. Migliorano l’efficienza cardiocircolatoria, la mobilità articolare, la funzionalità muscolare e quindi la sicurezza dei movimenti.
Anche in soggetti giovani lo stile di vita prevalentemente sedentario e la progressiva riduzione delle esperienze motorie possibili negli ambienti urbani stanno comportando un rapido decadimento funzionale con precoce invecchiamento delle strutture articolari e traumi sempre più frequenti. Questi fenomeni di “decadimento funzionale” coinvolgono un sempre maggior numero di persone, appare infatti evidente come il livello di rischio sia funzione non solo dell’età, ma soprattutto del grado di efficienza motoria del soggetto, sia esso settantenne o venticinquenne.
Relazioni sociali
Un altro mito molto diffuso, quello che gli anziani siano molto soli; la verità è che tra gli anziani il benessere psicologico non è correlato al numero di attività sociali (Carstensen, 1996). Invecchiando l’interesse si sposta dalla ricerca di numerose e sempre nuove interazioni sociali al coltivare le poche relazioni che davvero ci interessano veramente come la famiglia e gli amici più stretti, un fenomeno che è stato definito selettività sociale.
Attività sessuale
Infine, contrariamente a quanto in genere si crede, negli anziani vi è un interesse notevole per l’attività sessuale e una altrettanto forte capacità di viverla (Deacon, Minichiello e Plummer, 1995).
Il lato emotivo, affettivo e relazionale sono presenti e, soprattutto, lo è la dimensione del desiderio: che risulta essere un elemento essenziale non solo nella sessualità della terza età, ma di tutte le età, contrariamente a ciò che si pensa, la sessualità e il desiderio sessuale non ha età (George e Weiler, 1981).
USE IT OR LOSE IT
Mantenere le capacità intellettuali (e fisiche) il più a lungo possibile si può riassumere in cinque parole: “Use it or lose it”, “usalo o perdilo!” (Ritsatakis, 2008).
E’ importante in un’età avanzata per combattere il decadimento e per promuovere il benessere globale della persona:
Mantenere una mente allenata, con tanti stimoli cognitivi, culturali, emotivi e relazionali ;
difendere uno stile di vita salutare, con un’alimentazione equilibrata, una regolare attività fisica;
tenersi socialmente integrato e attivo.